Il laboratorio di visione LeREM partecipa per Interazioni Festival al laboratorio Visual Sign condotto da Daniel Bongioanni e alla performance You Have to Be Deaf to Understand di Diana Anselmo

Il 16 dicembre 2023 incontravamo per la prima volta Diana Anselmo — performer sordx bilingue italiano e LIS e attivista/co-founder dell’associazione Al.Di.Qua.Artists — a Interazioni Festival, e iniziavamo così a praticare, come pubblico, la Lingua Italiana dei Segni (LIS) e la Visual Sign (forma poetica delle lingue dei segni). Qui, il racconto del nostro primo incontro: Nel vuoto fonico, il pieno semantico dei nostri corpi.
Due anni dopo Interazioni Festival , diretta artisticamente da Salvo Lombardo / Chiasma, ci offre la possibilità di partecipare al workshop Visual Sign di Daniel Bongioanni, artista sordo che insieme a Babilonia Teatri ha prodotto Foresto, spettacolo in trilingue LIS, dialetto veronese e sottotitoli in italiano (qui, il racconto su Teatro e Critica: Foresto di Babilonia. Un sorprendente Koltès tra dialetto e LIS ) proprio sulla Visual Sign* e di assistere a You Have to Be Deaf to Understand con Diana Anselmo, Daniel Bongioanni, e DMK per continuare così la” riflessione sull’uso degli occhi e dell’esprimersi attraverso espressioni facciali, il corpo e le mani. Grazie all’uso di queste ultime, ne si prende consapevolezza in diverse aree: nell’uso quotidiano, nella lingua dei segni, nell’arte, nel teatro e molto di più, dando una comunicazione visiva più estesa”.
Visual sign di Daniel Bongioanni

In apparenza, il nostro esercizio era semplice: qualche gesto della mano, qualche sguardo, qualche cenno per indicare il bere un caffè, la fame, un sorriso, una richiesta o il sonno. Ma in profondità, questa esperienza era molto più di un gioco con il corpo; era un tentativo di toccare i confini delle lingue, del linguaggio e della comprensione.
Nel silenzio tra noi, è nata una nuova lingua; una lingua senza parole, senza regole, ma piena del desiderio di connessione. Le mani parlavano, i volti trasportavano significati, e il corpo si trasformava in un mezzo di pensiero. Eppure, proprio nel momento in cui credevamo che una “comprensione universale” fosse possibile, la verità ci sussurrava all’orecchio: nessun segno è universale.
Il gesto per indicare il caffè, un comando di guida, o la forma di un cuore – tutti provenivano dal nostro mondo culturale. Pensavamo di esserci liberati dal linguaggio, ma in realtà eravamo solo passati da un linguaggio all’altro: dalla parola all’immagine, dal verbo all’oggetto. Anche senza suono, parlavamo ancora all’interno di una storia visiva; una storia di oggetti familiari nella nostra vita quotidiana.
Anche il corpo ha una memoria. Ogni suo movimento porta con sé uno strato di cultura; ogni gesto, un’ombra di educazione, media, genere e potere.
Ciò che è accaduto in questo workshop non è stata una sottrazione di lingue, ma la loro incarnazione; lingue depositate nei muscoli, nei movimenti ripetitivi delle mani e degli sguardi.
Siamo fuggiti dalla parola per rifugiarci nel silenzio, ma anche il silenzio era pieno di traduzione.
In effetti la proposta Visual Sign più che creare una comunicazione diretta tra esseri umani, ci ha posti di fronte a una domanda: è davvero possibile una comunicazione “diretta”? Può il corpo parlare senza cultura? È possibile separare il significato dall’esperienza vissuta e continuare a chiamarlo comprensione?
In un momento dell’esercizio, quando ciascuno di noi ha disegnato un simbolo e un altro lo ha interpretato con un gesto, ho capito che nell’arte accade la stessa cosa: un’opera d’arte non crea mai un linguaggio comune, ma apre solo uno spazio in cui la comprensione, temporaneamente, diventa possibile. Non creiamo significato; lo tocchiamo solo per un istante, lasciandolo passare attraverso le nostre mani. Se l’obiettivo del workshop era prendere coscienza del corpo e liberarci della lingua fonica, il risultato è stato anche altro: abbiamo scoperto che il linguaggio ha radici nel corpo. Il corpo è il linguaggio, e ogni tentativo di universalizzare il significato è solo un altro velo del desiderio umano di dominio – il desiderio di comprendere l’altro senza accettare la differenza.
Alla fine, il laboratorio Visual Sign mi ha ricordato che la comunicazione non si realizza nell’eliminazione dei confini, ma nell’accettazione dell’intraducibilità.
In quella stanza piena di silenzio, non abbiamo creato un mondo; abbiamo solo rivelato i nostri mondi diversi l’uno di fronte all’altro. E forse questa è la forma più bella di comunicazione: non dire, non comprendere, ma vedere l’altro nel silenzio, e ammettere che nessun gesto, nemmeno il più semplice, è privo di storia.
Mina Momeni
All’inizio il ritmo era molto veloce, non riuscivo né a capire né a tradurre… Mi è piaciuto molto quando abbiamo iniziato a condividere i gesti che ci piacciono. Poi, nei primi gruppi, abbiamo dovuto interpretare dei cowboy. Capivo che dovevo giocare, ma volevo scappare. Ho proposto di fare la mucca che viene catturata dal cowboy. Questa scenetta mi è piaciuta molto. Poi abbiamo disegnato e indovinato ciò che avevamo disegnato. Dovevo rappresentare un cuore, era disegnato in modo molto realistico. Quando ci hanno diviso in nuovi gruppi, siamo finiti nella stessa squadra con una donna che comunicava con i gesti. È stata lei stessa ad assegnarci i ruoli, ci ha letteralmente “costretti” a essere ciò che riteneva necessario. Abbiamo obbedito. È stato molto divertente, ho riso molto. Poi Daniel ci ha salutato e ho capito che avevo vissuto un’esperienza interessante, avevamo giocato come bambini. Non c’era quasi nessuna tensione, è stato interessante, molto positivo!
Nino

È stata la prima volta che ho avuto un contatto così vicino con persone sorde.
Ho visto comunicare con i gesti, con il viso e con il corpo.
Per la prima volta ho pensato così tanto alla lingua dei segni. Ho visto come questi gesti diventano significato. Abbiamo fatto diversi esercizi che hanno aperto la mia mente.
Khanum Yehoian

Un gruppo di esseri umani, venuti da terre e culture diverse, con lingue e suoni senza radice comune — e alcuni, segnando — si sono seduti insieme.
È stato sorprendente vedere come, nell’assenza delle parole, riuscissimo a comunicare con lo sguardo, con il gesto delle mani, con il colore e il segno, con i simboli e con il silenzio, trasmettendo il pensiero l’uno all’altro.
Goli Azad
Per me è stato molto interessante, perché era la prima volta che partecipavo a un’attività insieme a persone sorde. Ci siamo seduti, e un giovane ragazzo sordo (muto) si è presentato con la sua lingua, e poi ha cominciato a spiegare la lingua dei segni.
È stato affascinante, perché mi sono tornati in mente alcuni ricordi d’infanzia: quando da bambini disegnavamo osservando solo le forme degli oggetti, cercando di riprodurle.
Ogni tanto lui ci faceva delle domande e noi rispondevamo. Abbiamo imparato molte parole della lingua dei segni, e come poter comunicare con gli altri attraverso il corpo.
Mohamed Reza
Abbiamo riso molto, abbiamo creato “otto”, spettacoli brevi ma belli. Diciassette gesti da diciassette corpi, diciassette linguaggi diversi, tutti per rispondere a una sola domanda: “Come aprire una porta?”
Tre ore senza pausa, senza stanchezza.
Zara Kian
You Have to Be Deaf to Understand di Diana Anselmo

في اليوم التاني رأيت عرض الصامت كانو تلاتة شباب من الصم لايتكلمون ولا يسمعون ولكن في العرض رأيتهم وفهمت اشياء وأشياء لم افهمها ولكن كان رائعا كان العرض يبعر عن لغة الصم والمشاكل الذي يوجهنها في المجتع كانت الحركات وتعبيرات
الوجه قوية وحقيقية شعرت بهم بالنسبة لي انا اول مرة أشاهد عرض الصامت اعجبني واريد ان أراه مرة أخرى
Ali Jubran
È stata un’esperienza molto interessante, perché bisognava essere molto concentrati su di loro e non distrarsi, per non perdere il filo della storia. Loro raccontavano tutto solo con i gesti e con il corpo.
Khanum Yehoian
La scena sembrava ambientata in una libreria, dove ognuno cercava un libro diverso; poi, una volta trovato, entrava simbolicamente nella storia e cominciava a interpretare i personaggi del racconto.
Mohamed Reza
Lo spettacolo di tre persone sorde, mentre lo guardavo, mi ha riportato alla mente i ricordi del libro La fabbrica delle parole che ho conosciuto ad Asinitas. Movimenti delicati, chiari; loro sono riusciti a parlare senza voce, con le loro mani.
Zara Kian
*La Visual Sign (VS) è una componente artistica della lingua dei segni, evoluta dal ramo della VV (Visual Vernacular) e della poesia visiva. Sia la VV che la poesia partono da elementi tipici e tradizionali della lingua dei segni, tra cui classificatori e impersonamento. La VS si è “staccata” da questi elementi dando una possibilità maggiore di comprensione alle persone che possono utilizzarla, da coloro che non conoscono la lingua dei segni, utilizzando segni iconici e visivi. Si usano principalmente le mani e le espressioni facciali, ma permette anche di coinvolgere l’intero corpo. Grazie alla VS si può ottenere una conoscenza e consapevolezza dell’uso del corpo e della comunicazione non verbale per esprimere numerosi concetti senza appoggiarsi a una specifica lingua, parlata o segnata.
Zara Kian, Luca Lòtano, Souleymane Bah, Ali Jubra, Goli Azad, Khanum Yehoian, Mohamed Reza, Nino, Mina Momeni, Kaylah Walker, Lorena Benatti
Dopo aver partecipato e visto:
VISUAL SIGN
con Daniel Bongioanni
YOU HAVE TO BE DEAF TO UNDERSTAND
Di Diana Anselmo
Con Diana Anselmo, Daniel Bongioanni, DMK
Sguardo esterno: Juli Klintberg, Ramesh Meyyappan
Produzione: Fattoria Vittadini
Con il sostegno di Fondazione Rana
