Come together. Visioni della REM Up To You 2023 su Fruitor Passiv di Roger Bernat/FFF e Qui e Ora.
“Come si scelgono gli spettacoli per un festival? Quali sono i ragionamenti che una direzione artistica affronta? Esistono criteri puramente estetici? Da che spettacolo mentale, da che copione ideologico tiriamo fuori le nostre opinioni sugli spettacoli altrui? Quali gli scontri, le discussioni artistiche, economiche, etiche e politiche? Che quota di finzione ammette lo scenario del dibattito?” A partire da queste – e altre – domande è nato il progetto condotto dal regista catalano Roger Bernat/ FFF, produzione e curatela Qui e Ora, co-produzione Capotrave – Infinito e Kilowatt Festival, con il sostegno di Risonanze Network e MIC, un dispositivo che riproduce, testimonia e tergiversa intorno all’esperienza delle direzioni artistiche partecipate
È proprio una scelta. All’inizio dello spettacolo Fruitor passiv il testo proiettato sulla scena mi distraeva. E poi ho scelto di affidarmi ai colori dello spettacolo. Sugli schermi vedevo il copione: rosa, giallo, bianco, verde, azzurro ma non volevo leggere. Cercavo e aspettavo che la persona con la maglietta dello stesso colore iniziasse a leggere per me. Questo processo con il passare del tempo mi ha fatto chiedere: ma loro, vorrebbero dire altro? Ci sono altre parole oltre a quelle proiettate? L’impressione è che tutto succeda proprio in quell’istante, proprio mentre io sono lì ma il copione è evidente, è vincolante. Dunque la discussione è programmata o c’è margine di evoluzione? E’ un paradosso.
Il paradosso continua dentro di me. Ad un certo punto io non ero più io ma ero loro, e loro erano me. Ma allo stesso tempo mi sentivo invisibile, come se non esistessi. E loro erano al di fuori di me: spettatori e performer allo stesso tempo. Chi sono io allora? Lo spettatore dello spettatore?
Quello che sto guardando è il simulacro di una performance e non una performance? Come dicono loro stessi è uno “spettacolo senza spettacolo” dove io “partecipo senza sapere di partecipare”.
Alla fine quello che mi resta è una parola che porta con sé molte domande. DECOSTRUZIONE: decostruzione di cosa? Teatro? Direzione artistica? Spettatore? Degli attori? O magari di tutto insieme.
Due cose sono certe:
La prima, è che vorrei andare a vedere tutti gli spettacoli di cui hanno (o abbiamo?) parlato durante Fruitor Passiv.
La seconda, è che non sapevamo che dietro a uno spettacolo e a un festival ci fosse così tanto lavoro.
È interessante sapere che cosa c’è dietro quando vai a teatro, perché vediamo uno spettacolo invece di un altro. E anche cosa avremmo potuto vedere se i parametri di scelta fossero stati altri. Allora abbiamo continuato l’esercizio di Fruitor passiv e ci siamo chieste che cosa dovrebbe avere, per noi della RE.M, uno spettacolo per essere portato all’interno di un festival come Up To You.
Yessi – editing di Valeria Tacchi
Un teatro che dia significato alla quotidianità.
Un teatro che porti speranza.
Un teatro che stimoli.
Un teatro che arricchisca.
Un teatro che faccia vedere ciò che di norma non si vede.
Un teatro che mostri e proponga altri sguardi e altre realtà.
Un teatro che porti in scena corporeità diverse, come ad esempio la disabilità.
Un teatro che permetta di superare i pregiudizi.
Un teatro che mostri che tutti possono esprimersi, senza vergogna, senza paura, andando oltre a quelli che possono essere percepiti come “ostacoli”, “mancanze” o “differenze”.
Un teatro che faccia riflettere su ciò che diamo per scontato.
Un teatro che faccia discutere.
Un teatro fantastico, che rientri nella dimensione della fiaba, che racconti storie e porti mitologie nuove, che faccia sognare.
Un teatro partecipato e collettivo che porti al dibattito su temi concreti.
Un teatro che crei relazioni tra attori e pubblico ma soprattutto all’interno del pubblico.
Un teatro che si preoccupi della parte dopo la performance.
Un teatro che si sa raccontare alla città.
Un teatro che venga da altri paesi per conoscere altri punti di vista.
Un teatro che parli della cultura di altri paesi.
Un teatro che parli di temi difficili: violenza contro le donne, salute mentale, discriminazione, perché la forma dello spettacolo permette di passare i concetti, le idee con le emozioni.
Un teatro che parli di come le comunità di altri paesi vedono le donne.
Un teatro che rifletta sulla violenza contro gli uomini.
Un teatro che faccia ridere, le persone qui a Bergamo non comunicano, non ridono.
Un teatro per i ragazzi, perché c’è il teatro per i bambini e per gli adulti, giovani ma adulti, e per i ragazzi?
Un teatro che tenga conto della mentalità anche di altre culture e sappia che mostrare il corpo nudo è difficile.
Un teatro con corpi che ballano, con immagini e con meno parole.
Un teatro capace di avvicinare persone di altre religioni.
Un teatro che regali alla città una dimensione di gioia e di festa.