Macbettu. Come suonano le pietre

Macbettu visto al Teatro Argentina dal gruppo di visione del laboratorio di teatro comunitario di Asinitas Onlus.

foto Alessandro Serra

Nella prefazione al testo Macbettu edito da Illisso Edizioni e Sardegna Teatro (2017) Alessandro Serra, parlando di oggetti, si sofferma sulla pietre come elemento fondamentale della sua “opera visionaria e acustica”. Nella scena nuda del Macbettu (qui un approfondito dialogo sull’opera con Alessandro Serra a cura di Sergio Lo Gatto) le pietre che «cadono, rotolano e vengono sovrapposte in un equilibrio precario a ogni assassinio» sono un elemento originario prima ancora di essere elemento scenico visivo, appartengono alla messinscena ancor prima di svelarsi agli occhi; gli unici suoni che non arrivano dal tramestio dei corpi e dalla partitura dei pochissimi oggetti in scena sono, infatti, proprio quelli delle pietre sonore di Pinuccio Sciola, sculture, strumenti musicali, ai quali Alessandro Serra affida il canto e i sussurri dello spettacolo, tra il suono liquido del calcare e il grido del basalto che si sovrappone al furioso bussare sui tavoli di metallo. Ed è proprio quest’ultimo suono, quella frequenza cupa che fa tremare lo stomaco e le gambe all’inizio e alla fine dello spettacolo, il suono che Zahra, studentessa iraniana, mi dice di riconoscere come il suono del totalitarismo. Io, ascoltando quel suono, non ci avrei mai pensato. Dopo essere usciti dal Teatro Argentina allora,  nei giorni seguenti, incomincio a parlare con chi del gruppo di visione ha visto lo spettacolo, convinto che quelle pietre, guardate in scena insieme, hanno emesso per ognuno di noi un suono diverso, così come ogni pietra sonora di Sciola emette un singolo suono a sé.

foto Alessandro Serra

«Se socchiudiamo gli occhi possiamo vederle, a lato del nostro campo visivo, come a lato del palco: le pietre. Sono le persone che, involontariamente o meno, abbiamo ferito, le scuse che non abbiamo mai detto ad alta voce e gli errori che non ci siamo ancora perdonati. La differenza tra noi e Macbettu è che nessuno arriva da dietro le quinte per farne una conta e metterle in bella mostra. Noi possiamo decidere di ignorarle, di non mostrarle alle altre persone. Ma se sta a noi metterle a fuoco o meno, forse è proprio rendendole visibili, raccontandole, che possiamo iniziare a tirarle giù, una ad una».
Elena (spettatrice italiana)

«Vedere Macbeth con un linguaggio antico e una lingua vecchia, con soli uomini in scena, a Roma e nel bellissimo teatro Argentina, non l’avrei mai immaginato. Ovviamente non potevo capire tante parole, ma ciò che era chiaro è lo stile con cui la storia veniva raccontata e l’ironia nascosta tra le parole e i corpi. L’illuminazione della scena, i costumi. Mi ha colpito soprattutto la messa in scena essenziale dello spettacolo con le pietre e quei grandi tavoli di metallo, e quel suono che simboleggiava il totalitarismo e che colpiva perché spaventava qualsiasi cuore coraggioso».
Zahra (spettatrice e studentessa iraniana)

foto Alessandro Serra

«Le pietre. A cosa mi fanno pensare, le pietre? Alla fatica della costruzione e quanto un materiale così arido possa invece proteggere e accogliere. Mi fanno pensare ai giochi dell’infanzia, o a quando verso i vent’anni gli amici mi riempivano la borsa di pietre senza che me ne accorgessi. E a quando ho incontrato il mio compagno, che lo associavo a una specie di dolmen come struttura fisica e caratteriale».
Laura (spettatrice italiana)

«Era quasi la fine della guerra quando mia madre rimase incinta. Prima che mio fratello maggiore fosse nato, che ha un anno e mezzo più di me; mia madre ha perso tre figli a causa della paura e dello stress durante la guerra. Dato che Saddam Hussein avrebbe dovuto bombardare il mese successivo, i medici decisero per fare un parto cesareo a mia madre, anche se era incinta di soli sei mesi. I medici non si aspettavano che il bambino sarebbe sopravvissuto. È stata probabilmente la prima pietra della mia vita. Durante questi anni ci sono stati molti piccoli e grandi problemi. Tu e io e tutte le persone siamo sempre di fronte a queste rocce e pensiamo che i nostri problemi siano i più difficili. Ma se riusciamo a guardare davvero queste pietre, queste belle rocce fottute, troviamo una migliore comprensione della vita».
Shaun (spettatore e studente iraniano)

Nell’intervista segnalata all’inizio dell’articolo Alessandro Serra dice: «credo di essere riuscito insieme agli attori a toccare nel profondo quelle zone buie ma anche necessarie alla vita, e questo il pubblico lo sente. Lo sente aldilà della lingua e della cultura, sente e vede sé stesso». Noi, di questo, ne siamo convinti.

Luca Lòtano

Visione dello spettacolo al Teatro Argentina di Roma, maggio 2019
La visione dello spettacolo rientra nel percorso di visione all’interno della stagione 2018/2019 del Teatro di Roma

M A C B E T T U
di Alessandro Serra
tratto dal Macbeth di William Shakespeare
con Fulvio Accogli, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Andrea Carroni, Giovanni Carroni, Maurizio Giordo, Stefano Mereu, Felice Montervino.
traduzione in sardo e consulenza linguistica Giovanni Carroni
collaborazione ai movimenti di scena Chiara Michelini
musiche pietre sonore Pinuccio Sciola
composizioni pietre sonore Marcellino Garau
regia, scene, luci, costumi Alessandro Serra
produzione | Sardegna Teatro e compagnia Teatropersona
con il sostegno di Fondazione Pinuccio Sciola | Cedac Circuito Regionale Sardegna
lingua sardo con sovratitoli in italiano

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