Gli spettacoli di Up To You 2025. I Circle time della Re.M

Pratica all’interno di Up To You Spettacolo dal Vivo Festival. Lo sa il pubblico, lo sanno le artiste, lo sappiamo noi. Ogni anno, dopo gli spettacoli, ci ritroviamo in cerchio nel foyer del teatro o negli spazi adiacenti allo spazio performativo, e ci facciamo una domanda: “Che cosa abbiamo visto?“. E rispondiamo in ogni lingua. Undici minuti di tempo durante i quali registriamo le nostre voci e quelle del pubblico che si inserisce nel cerchio. Poi il giorno dopo, durante il laboratorio, riascoltiamo insieme la registrazione audio e scegliamo undici frasi da condividere, nelle lingue che animano la Re.M. In questo articolo riportiamo le frasi scelte e le voci per ogni spettacolo visto con la RE.M di UpToYou Festival 205 e gli interventi audio fatti prima di ogni spettacolo a partire proprio dalle lingue parlate nella città di Bergamo.

“Noi di RE.M. lavoriamo con il linguaggio, in un festival che lavora con il corpo e con le arti sceniche. Crediamo assiduamente che il linguaggio sia parte dei corpi che abitano la città e come corpo effettivmente richiede uno spazio all’interno della città che abitano insieme alle persone che la vivono e che attraversano questi linguaggi. Proprio per questo vogliamo utilizzare i linguaggi che ci portiamo addosso, riprenderci gli spazi della città e facendo ciò affermare l’esistenza di questi linguaggi e dei nostri corpi che attraversano la città”.
Laura Amponsah

Non ho chiesto (io) di venire al mondo

foto Carlo Valtellina

“Una riflessione sulla condizione attuale delle giovani generazioni e su come questo tempo storico sia focalizzato sul prodotto, sul risultato e su ciò che si ottiene, piuttosto che su chi si è e su che cosa si ha da dire. Partendo da questa riflessione, è emerso uno spettacolo che esplora il potenziale ludico dell’esistenza”.
un progetto di Alessandra e Roberta Indolfi
con Eleonora Gambini, Alessandra Indolfi, Roberta Indolfi e Giuseppe Zagaria
produzione esecutiva Zerogrammi

Cosa abbiamo visto noi?

«Mi si è aperto un portale, uno spazio di sogni»

«Lo spazio della noia, lo spazio del gioco in cui non devi produrre niente. Il gioco come modo di vivere»

«Questa necessità di provare molte volte»

«Il movimento è la vita, sempre. Dobbiamo muoverci per vivere»

«Questo gioco mi ricorda la bellezza dell’unità»

«Persone giovani che hanno memoria»

«Contavano. Contava anche mio figlio da piccolo quando aveva paura»

«All’inizio hanno delineato il loro spazio personale, poi hanno creato un ambiente amichevole e hanno giocato insieme»

«Tenere il ritmo fa tornare al centro»

«Ho pensato ‘forse dovremmo dirgli la strada’. Ma non lo vedevamo e non potevamo aiutarlo»

«Il teatro come una pratica»

Albatros

foto Carlo Valtellina

Albatros nasce come studio biologico e comportamentale di alcune tipologie di animali per poi evolvere verso un’indagine sul concetto di natura e di naturale. Avvolti dalla luce e sepolti dall’oscurità, i corpi creano immagini ibride, a tratti aliene, che mutano verso la composizione di figure antropomorfe, attraverso una ricerca sensoriale della propria identità”.

coreografia e autorialità Pablo Ezequiel Rizzo
con Giuseppe Zagaria e Pablo Ezequiel Rizzo
dramaturg Eliana Rotella
light designer Fabio Brusadin
produzione Associazione AIEP Ariella Vidach
con il sostegno di Hangartfest, Studio 21, Movimento Danza, Tersicorea.off, DRACMA

Cosa abbiamo visto noi?

«La storia della vita e della morte»

«L’impatto devastante della cattiva ecologia che rappresenta una minaccia»

«L’estetica del corpo e dei movimenti. Una vera poesia piena di vita»

«Giraffe, spade, lucertole, alieni, corpi in pace e poi corpi in guerra»

«Luci rosse che erano due occhi, un testo fatto di luce»

«L’evoluzione di due corpi che crescono al proprio ritmo, poi si uniscono e alla fine ognuno prende il proprio cammino»

«Due persone che si aiutavano a vicenda nel buio e poi si muovevano verso la luce»

«Scimmia, aquila, gufo. Danza dell’amantide religiosa»

«Un mondo alieno ma molto famigliare, forse siamo noi gli alieni. Che cosa è animale?»

«Un corpo che si divideva in due, si trasformava con tanti muscoli. Un corpo che ci ha emozionato»

«Il teatro come manifestazione dell’inspiegabile»

Porgnografico Vaudeville

Laura Amponsah introduce lo spettacolo e la lingua twi originaria del Ghana:

foto Carlo Valtellina

Pornografico Vaudeville (o Manifesto sul Nulla) è un progetto sul rapporto tra il maschile e la violenza: una violenza quotidiana, stupida, senza motivo, quella celata in un sorriso, in una battutina, in un luogo comune. Lo spettacolo nasce da un’analisi del fenomeno incel – uomini convinti di essere “costretti dalla società” a rimanere celibi in quanto troppo brutti, troppo insicuri, troppo inadatti a seguire un’idea assoluta e oggettiva di cosa voglia dire “essere maschio”, coltivando nello stesso tempo un atteggiamento di disprezzo e rancore nei confronti del mondo femminile che – secondo loro – li rifiuta.

drammaturgia e regia di Stefano Poeta
con Giovanni Conti, Andrea De Luca, Gabriele Enrico, Michele Montironi, Gianluca Scaccia, Luca Zaffanella

Cosa abbiamo visto noi?

«Molta violenza fisica e psichica. Attacco di panico»

«Un giovane uomo che non vuole più avere etichette addosso»

«La mia difficoltà. Delle parti di me»

«Un giovane uomo che voleva svuotarsi e riempirsi d’aria, e vicino a lui una bambola gonfiabile»

«Persone che pagano per vedere la violenza senza reagire»

«La difficoltà di essere innamorat»

«Aspettavo una risposta ma sono andato via con tante domande»

«Un attore che lavora con un pupazzo e lo fa parlare. Ho sempre avuto paura dei ventriloqui e dei pupazzi»

«Non voler essere definiti uomo, donna, omosessuale, bianco e volersi sottrarre al proprio corpo»

«Un disagio che mi ha messo inquietudine»

«Persone alzare la mano alla domanda: risconoscete qualcosa in questo spettacolo che avete vissuto?»

CA-NI-CI-NI-CA

Sebastjian Abdulahu introduce lo spettacolo e la lingua rom parlata da 36 milioni di persone nel mondo:

foto Carlo Valtellina

CA-NI-CI-NI-CA è un progetto di ricerca e uno spettacolo sullo sfruttamento lavorativo e sulle modalità con cui si comunicano le cause sociali. Il progetto nasce dal desiderio di rappresentare lo sfruttamento lavorativo nelle filiere agro-alimentari (in particolare, in quella della salsa di pomodoro) non tanto come una situazione emergenziale, quanto come un fenomeno sistemico determinato dalle dinamiche di un sistema produttivo dominato dalla Grande Distribuzione Organizzata. Questo desiderio si è unito a quello di esplorare i limiti di una comunicazione pietista, che rappresenta i braccianti migranti come vittime per cui si può provare (al massimo) pietà, ma sempre da una posizione di distacco e superiorità.

di e con Greta Tommesani e Federico Cicinelli
con la collaborazione di Daniele Turconi
cura del movimento Beatrice Pozzi e Angela Piccinni
scene Rosita Vallefuoco
produzione Cranpi, 369gradi e Romaeuropa Festival
con il sostegno di Carrozzerie | n.o.t, Teatro Biblioteca Quarticciolo

Cosa abbiamo visto noi?

«Una battaglia di una donna, un sogno, la lingua dei segni diventare danza»

«La possibilità di abitare il margine»

«Il profumo della salsa di pomodoro. Mi ha lasciato in bocca un sapore dolceamaro»

«Essere scarti, e come dall’essere scarto da solo diventare scarti insieme e poter fare qualcosa»

«Raccontare che si appiccica ai migranti l’etichetta di poverini, ma raccontare anche che sono persone con una storia, una voce e un corpo»

«Pomodori e proposte di cambiamento»

«Tanto pensiero, il dolore, la disperazione, speranza, gentilezza, sincerità»

«I pomodori parlare con Antonio Gramsci»

«Il presente tramite la passata»

«Il ghetto dove abitano i braccianti andare a fuoco»

«Cose già viste e vissute che si vedranno ancora per tanto tempo e davanti alle quali siamo impotenti, ma un’impotenza volontaria»

Quello che non c’è

Marie-Grâce Gimagesa introduce lo spettacolo e la lingua lingala, originaria del Congo:

foto Carlo Valtellina

Nella mia famiglia ci sono storie che non vengono raccontate nella convinzione che quello che non si dice non si saprà mai. Della storia di mia zia nessuno ha mai detto niente a me e a mio fratello, quello che sapevamo era che mio padre aveva tre sorelle e che adesso noi abbiamo due zie e che pertanto una delle tre non era più viva, Daniela. Non ho ricordi di lei da viva, né di noi due insieme. Quando è morta nessuno me lo ha detto. Poi un giorno, avevo venticinque anni, mio padre è venuto da me e mi ha raccontato la storia di Daniela. Lo ha fatto senza fermarsi, senza omettere niente, come se aspettasse quel momento da tutta la vita. Questa è la storia di mia zia come l’ho saputa da mio papà, è la storia di un uomo che vuole salvare sua sorella dalla morte ma non ci riesce. Quasi tutto è vero, alcuni pezzi sono inventati.

di e con Giulia Scotti
collaborazione al progetto Andrea Pizzalis
disegno luci Elena Vastano
coproduzione INDEX, Tuttoteatro.com
residenza Carrozzerie | n.o.t, Ferrara Off Teatro
sostegno di IntercettAzioni – Centro di Residenza Artistica della Lombardia; Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave/Kilowatt), Comune di Sansepolcro; Olinda/TeatroLaCucina
in collaborazione con mare culturale urbano, Ex Asilo Filangieri

Cosa abbiamo visto noi?

«Disegni prendere vita in scena»

«Una storia personale famigliare che è un silenzio, un non detto e che quando viene raccontata diventa universale»

«Una famiglia collegata dal sangue ma separata dalla mancanza di comunicazione»

«Una persona giovane che si chiede perché morire e perché vivere»

«Le emozioni di una donna che scopre le debolezze di suo padre e della sua famiglia»

«Il sangue di una sorella sul lavandino. Rosso su bianco»

«Lo sgomento di non trovare qualcosa nel posto dove pensavamo dovvesse essere»

«Un parcheggio vuoto fuori dal centro degli alcolisti anonimi»

«Uno sciopero della fame come atto politico»

«Un uccellino che becca dentro il petto di una persona fino a farla sanguinare»

«Le tracce che lasciano i silenzi»

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