Con il Teatro delle Ariette sulle pagine de Lo Straniero e tra i cortili attorno al Teatro Biblioteca Quarticciolo
Nell’introduzione a Lo straniero di Albert Camus, Roberto Saviano parla di come lo scrittore fissi uno dei più complessi temi della nostra esistenza: l’estraneità dell’uomo alla società e all’universo intero, ossia la matrice dell’incolmabile e insanabile solitudine dell’essere umano. Camus affida tutto al titolo Lo straniero, dando al lettore le coordinate per decifrare il romanzo e allo stesso tempo l’uomo che quel romanzo ha scritto. Camus stesso era straniero a tutto, alla sua terra, l’Algeria, e alla Francia per i suoi natali algerini. E straniero a livello ideologico, in mezzo a due patrie – quella dei conservatori e dei reazionari – in nessuna delle quali è riuscito a trovare cittadinanza. Camus, dice Saviano, riesce in un’impresa impossibile: descrivere come sia possibile sentirsi soli pur nel rumore dell’umanità, nonostante legami e vicinanza.
Noi della REdazione Meticcia, che abbiamo accompagnato il Teatro delle Ariette nel progetto Quarticciolo. La vita attorno a un tavolo , abbiamo provato a rispondere in prima persona alla domanda del testo di Camus, dello spettacolo Teatro Naturale. Io il cous cous e Albert Camus, e di tutto il progetto a cura del Teatro Biblioteca Quarticciolo: cosa significhi per me la parola straniero. Le riprese il montaggio dei video sono di Andrea Caramelli, la grafica è un es.pongo di Giulia Lannutti ispirato a una delle scene dello spettacolo di Teatro delle Ariette.
«Mia madre diceva: ‘Non aprire mai la porta a uno straniero!” Queste parole mi sono rimaste addosso, mi chiedo sempre: “Perché, perché viene da un’altra regione?”. Per me lo straniero, lo strano è quello indifferente; è quello che sta davanti al suo schermo e vede il mondo con occhi spenti, occhi passivi».
Nour Zarafi
«Il mio straniero è l’estraneo, l’estraneo di se stessi. Mi sento estranea quando il mio ritmo di vita, il ritmo di vita che vorrei non corrisponde al mio ritmo vita che ho, che seguo. Mi sento straniera quando mi guardo e non mi riconosco».
Giulia Lannutti
«Io parto dal presupposto che siamo tutti figli di Dio. Senza pensare troppo alle distinizioni che uno si mette in testa, al colore della pelle, alla razza, alle etnie e alle nazionalità diverse. Per me siamo tutti uguali. A livello umano. Sentirsi straniero? Si, mi ci sento. Quando? Quando vedo gli aerei che sganciano le bombe, quando vedo lo Stato che fa delle leggi sbagliate. Quando vedo gli esseri umani che si ammazzano per il potere, per il denaro. Non mi ci trovo, mi sento straniero, io la vedo così. Sono quelli i momenti nei quali mi sento straniero».
Mahamdou Kara Traore
«Lo straniero, è colui che viene da altrove, secondo me, lo straniero è colui che non fa parte del quartiere, per me, è colui che parla un’altra lingua o che viene da un’altra città. Quando sentiamo la parola straniero, può essere qualcuno che non fa parte della tua comunità, o qualcuno che non parla la lingua del paese».
Zakaria Mohamed Ali
«Straniero!! Ogni volta che ho sentito la parola straniero mi viene in mente la guerra… Perché la guerra rende molte persone straniere… La guerra costringe le persone a essere straniere».
Alagie Camara
«La prima volta che ho sentito la parola straniero ero al paese di mio padre da bambino. I vecchi del paese pensavano fossi forestiero e mi chiedevano ‘a chi appartieni tu?’. Quando penso alla parola straniero penso a mio padre che ha dovuto lasciare il suo paese a 11 anni. A E volte mio chiedo se ho iniziato a insegnare l’italiano agli stranieri per ritrovarlo. A Roma mi sento straniero perché non ho un luogo dove tornare».
Luca Lòtano